giovedì 15 maggio 2014

Le emozioni passano, i sentimenti vanno coltivati

Amarsi e rimanere insieme tutta la vita. Un tempo, qualche generazione fa, non solo era possibile, ma era la norma. Oggi, invece, è diventato una rarità, una scelta invidiabile o folle, a seconda dei punti di vista.
Oggi siamo esposti a mille tentazioni e rimanere fedeli certo non è più scontato, ma diventa una maniera per sottrarre almeno i sentimenti al dissipamento rapido del consumo.
Il bisogno di amare ed essere amati, in una continua ricerca di appagamento, senza essere mai sicuri di essere stati soddisfatti abbastanza spinge a cercare sempre nuove storie. E’ lacerante essere tra la voglia di provare nuove emozioni e il bisogno di un amore autentico.
L'amore è diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame.
Oggi la scelta sembra essere tra vivere relazioni brevi o l'infedeltà, ma sta a noi scegliere. Alcune scelte sono più facili e altre più rischiose. Quelle apparentemente meno impegnative sono più semplici rispetto a quelle che richiedono sforzo e sacrificio. L'amore non è un oggetto preconfezionato e pronto per l'uso. È affidato alle nostre cure, ha bisogno di un impegno costante, di essere ri-generato, ri-creato e resuscitato ogni giorno.
L'amore ripaga quest'attenzione meravigliosamente. Decidere fin dall’inizio che lo stare insieme, anche se difficile, è incomparabilmente meglio della sua alternativa, porta a guardare anche alla più terribile crisi coniugale come a una sfida da affrontare. L'esatto contrario della dichiarazione meno rischiosa: "Viviamo insieme e vediamo come va...". In questo caso, anche un'incomprensione prende la dimensione di una catastrofe seguita dalla tentazione di porre termine alla storia, abbandonare l'oggetto difettoso, cercare soddisfazione da un'altra parte.
Libertà e sicurezza sono valori entrambi necessari, ma sono in conflitto tra loro. Il prezzo da pagare per una maggiore sicurezza è una minore libertà e il prezzo di una maggiore libertà è una minore sicurezza. La maggior parte delle persone cerca di trovare un equilibrio, quasi sempre invano.
È la prospettiva dell'invecchiare ad essere ormai fuori moda, identificata con una diminuzione delle possibilità di scelta e con l'assenza di "novità". Quella "novità" che in una società di consumatori è stata elevata al più alto grado della gerarchia dei valori e considerata la chiave della felicità. Tendiamo a non tollerare la routine, perché fin dall'infanzia siamo stati abituati a rincorrere oggetti "usa e getta", da rimpiazzare velocemente.
Non conosciamo più la gioia delle cose durevoli, frutto dello sforzo e di un lavoro scrupoloso. Il mercato ha fiutato nel nostro bisogno disperato di amore l'opportunità di enormi profitti. E ci alletta con la promessa di poter avere tutto senza fatica: soddisfazione senza lavoro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza un processo di apprendimento.
L'amore richiede tempo ed energia. Ma oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l'altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia e attenzione. Ma possiamo comprare tutto, non l'amore. Non troveremo l'amore in un negozio. L'amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana.
Sembra che accumuliamo relazioni per evitare i rischi dell'amore, come se la "quantità" ci rendesse immuni dell'esclusività dolorosa dei rapporti. Quando ciò che ci circonda diventa incerto, l'illusione di avere tante "seconde scelte", che ci ricompensino dalla sofferenza della precarietà, è invitante. Muoversi da un luogo all'altro (più promettente perché non ancora sperimentato) sembra più facile e allettante che impegnarsi in un lungo sforzo di riparazione delle imperfezioni della dimora attuale, per trasformarla in una vera e propria casa e non solo in un posto in cui vivere.
"L'amore esclusivo" non è quasi mai esente da dolori e problemi, ma la gioia è nello sforzo comune per superarli. È richiesta una volontà molto forte per resistere in un mondo così pieno di tentazioni. Emmanuel Lévinas ha parlato della "tentazione della tentazione". È lo stato dell' "essere tentati" ciò che in realtà desideriamo, non l'oggetto che la tentazione promette di consegnarci. Desideriamo quello stato, perché è un'apertura nella routine. Nel momento in cui siamo tentati ci sembra di essere liberi: stiamo già guardando oltre la routine, ma non abbiamo ancora ceduto alla tentazione, non abbiamo ancora raggiunto il punto di non ritorno. Un attimo più tardi, se cediamo, la libertà svanisce e viene sostituita da una nuova routine. La nostra dedizione alla gratificazione istantanea e senza legami è il prodotto del mercato, che ha saputo capitalizzare la nostra attitudine a vivere il presente.

I “legami umani" in un mondo che consuma tutto, sono stati sostituiti dalle "connessioni". Mentre i legami richiedono impegno, "connettere" e "disconnettere" è un gioco da bambini. Su Facebook si possono avere centinaia di amici muovendo un dito. Farsi degli amici offline è più complicato. Ciò che si guadagna in quantità si perde in qualità. Ciò che si guadagna in facilità (scambiata per libertà) si perde in sicurezza.


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Sindrome da Crocerossina

Si riferisce a quell’insieme di comportamenti presenti in persone molto accudenti e protettive, sempre tese a compiacere, gratificare e giustificare l’altro, anche a costo di sacrificare i propri bisogni e se stesse. La persona “soccorritrice” si occupa di chi ama, con dedizione completa e assoluta abnegazione, assecondando se non anche anticipando i bisogni del partner al punto tale da ignorare le proprie esigenze e necessità, mettendo da parte ogni velleità in nome di un amore che ci fa sentire vive e utili.
Le donne sono culturalmente e socialmente le più predisposte a sviluppare questo schema relazionale disfunzionale, sono portate a “servire ed accudire” portando all’eccesso opposto il loro spirito materno, nel tentativo di rendersi  indispensabili per l’altro e mettersi così al riparo da un’eventuale abbandono e separazione. E’ chiara l’influenza socio-culturale che per secoli ha visto la donna come angelo del focolare, educata al servizio e al sacrificio e che realizza se stessa solo nel compimento del suo “dovere” di figlia, moglie e madre, prendendosi cura dell’altro con smisurato spirito salvifico.
L’altro diventa quindi un mezzo e non un fine, un modo per colmare il vuoto affettivo ed esistenziale che le crocerossine si portano dentro. Il partner diviene oggetto d’amore incondizionato e indiscusso, messo su un piedistallo e da lì mai più rimosso, soccorso sempre e comunque di fronte a qualsiasi ostacolo, anche a scapito del proprio benessere.
L’ “oggetto” d’amore è spesso un partner problematico, misterioso, inafferrabile che si sa essere una partita persa in partenza, ma diviene una missione, una sfida.
A volte diventa una vera e propria fantasia d’onnipotenza per la quale barattano l’amore: “Io ti salverò e sarò tutto per te, mentre tu non potrai fare a meno di me e anche per riconoscenza mi amerai!”.
Si tratta di amorevoli attenzioni dietro cui in realtà si cela il tentativo di manipolare l’altro, legandolo a doppio filo a sé: se io ti curo e mi rendo per te indispensabile, necessariamente mi amerai e non mi lascerai mai. Dal canto suo l’altra persona si lascia spesso accudire e “salvare”, pur tuttavia poi rivendicare la propria autonomia non appena ritrovato il proprio equilibrio. L’altro diviene così vittima ed al contempo carnefice di una partner che, spogliata del suo ruolo di redentrice, deve fare i conti con la paura dell’abbandono, del rifiuto e con un forte senso di inadeguatezza.
Il tentativo di “risollevare” il partner conduce infatti l’altro a sottrarsi prima o poi dal ruolo di dipendente: ribelle, risentito e critico, cerca la propria autonomia e la compagna, in questo contesto, da risorsa diviene ostacolo. Allora la relazione si sgretola e la donna piomba nella disperazione più profonda. Il suo insuccesso è totale: se non si riesce a farsi amare neppure da un uomo così misero e inadeguato, come può sperare di conquistare l’amore di un uomo migliore e più adatto a lei? Si spiega così come mai queste donne fanno seguire a una cattiva relazione una peggiore: con ciascuno di questi fallimenti sentono diminuire il loro valore. E sarà per loro difficile rompere questa catena finché non saranno giunte a una comprensione profonda del bisogno che le porta a comportarsi così.
Simili comportamenti di accudimento possono servire ad ipercompensare uno schema relazionale di deprivazione emotiva, per cui la persona, certa di non poter avere l’amore di cui ha bisogno, cerca di assicurarsi “briciole di affetto” dell’altro, annullando se stessa ed i propri bisogni.
Soddisfare i desideri dell’altro e sentirsi indispensabile, oppure, al’opposto, contare su di lui per gestire e regolare la propria vita, significa per la persona, cercare di ottenere l’amore non ricevuto nell’infanzia, colmare quel vuoto interiore.

In un certo senso l’accudimento e la protezione nei confronti dell’altro, è in realtà anche una sublimazione del desiderio di curare, accudire, proteggere quella parte di sé che ha sofferto e soffre, ma che tuttavia trova giovamento nel dedicarsi completamente a qualcuno, nell’illusione di poter trovare finalmente quell’amore che durante l’infanzia è stato loro negato.
Fare di tutto per amore, assumersi la responsabilità della felicità altrui e rendere l’altro responsabile della nostra, accudire in tutto e per tutto e anticiparne a volte anche i bisogni, per chi è affetto dalla sindrome da crocerossina, è l’unico modo conosciuto di amare. Si tratta spesso di bambini e bambine cresciuti in famiglie in cui, la maggior parte dei messaggi verbali e non, erano negativi, improntati ad un “amore condizionato”, ad un “ti voglio bene se..”, contesti  in cui la svalutazione o l’indifferenza la facevano da padroni, caratterizzati spesso da mancanza di amore o da un padre dittatoriale e madre iperprotettiva.
E’ fondamentale riconoscere la “tossicità” di questi amori basati sul rapporto vittima-carnefice. I legami di questo tipo rischiano di incancrenire entro la dinamica della sfida, nell’illusione di farcela, di salvare l’altro. E’ importante sapere che nessuno cambia a meno che non lo voglia davvero, e per farlo serve coraggio e tenacia. E’ importante capire la “gratuità dell’amore”. Le donne soccorritrici pensano, infatti, di “doverselo guadagnare” attraverso azioni di cura e accudimento, quasi a garanzia della continuità del rapporto. E’ utile soffermarsi sui propri vissuti abbandonici e fare i conti con la consapevolezza che niente e nessuno può garantirci il “per sempre” né metterci al riparo dalle separazioni. E’ fondamentale smettere di percepirsi come satellite dell’altro, ma imparare a chiedersi come stiamo, come ci sentiamo e di cosa abbiamo bisogno. Lavorare su se stessi, sulla propria autostima, ascoltando le proprie emozioni, sentendo se stiamo o meno ricadendo in copioni che, per quanto noti e comodi, in realtà ci porteranno di nuovo a soffrire. Chiediamoci cosa vorremmo davvero e iniziamo col fare la più piccola cosa che potrebbe servirci per stare bene. 
 Riferimenti Bibliografici
“Donne che amano troppo”,Robin Nordwood, 1989, Feltrinelli Ed.
“La dipendenza affettiva”, Daniel Pietro, 2012 Ed. Paoline
“Amori altamente pericolosi”, Walter Riso, 2009, Mondadori

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Che cosa fareste se non aveste paura?

Tanti si saranno chiesti: “Quante cose avrei voluto e potuto fare, vorrei ancora fare e al contrario non realizzo per il timore di non farcela, di non avere la forza e coraggio necessari, per timore sostanzialmente del cambiamento?”.
Quanto ci troviamo di fronte ad una scelta solitamente la nostra mente si focalizza maggiormente su quanto andremo a perdere più che su quanto stiamo per guadagnare. Vogliamo e sogniamo il futuro, ma rimaniamo ancorati al passato. Perché?
La risposta è semplice: il passato lo conosciamo, lo fronteggiamo, lo controlliamo. Il futuro no, il futuro rappresenta l’ignoto di fronte al quale ci sentiamo indifesi e inermi. Il punto di partenza non è passato o futuro, ma noi stessi, sono la nostra insicurezza e mancanza di fiducia che ci portano all’immobilismo, alla coazione a ripetere azioni e modelli relazionali disfunzionali. E’ la paura che ci blocca e ci impedisce il cambiamento. La mancanza di fiducia in noi stessi e nelle nostre capacità e risorse ci tiene ancorati al passato.
E’ bene tenere a mente che l’oggetto delle nostre paure non è mai tanto spaventoso quanto noi lo immaginiamo. La maggior parte dei nostri timori sono irrazionali. La paura che noi stessi alimentiamo con la nostra immaginazione è peggiore della realtà. Tanto più ci soffermiamo sulle conseguenze negative e non sulle opportunità positive tanto più rimarremo paralizzati e inattivi.
A volte siamo in grado di “fiutare” per tempo il cambiamento e siamo pronti all’azione, altre volte neghiamo il cambiamento e vi resistiamo.
Quel che è certo è che il cambiamento è inevitabile. Vivere in un’epoca caratterizzata da continui cambiamenti può risultare stressante a meno che non si possieda una visione del cambiamento atta a comprenderlo e accettarlo.
Di fronte ad un cambiamento chi rimane paralizzato e inattivo, rimugina e si domanda continuamente: “Perché mi hanno fatto questo torto?”, “Perché proprio a me?” aspettandosi una sorta di risarcimento, un indennizzo per il danno ricevuto immeritatamente. E intanto il tempo passa e con esso diminuisce la speranza di riavere quanto perduto, la fiducia in se stessi vacilla sempre più e si cade in stati depressivi dai quali è talvolta difficile uscire. E’ a questo punto che dobbiamo porci una domanda: “Credo veramente che la situazione possa migliorare da sola?”, “Cosa sto facendo affinché la mia condizione possa migliorare?”. Se la risposta alla prima domanda è SI e alla seconda è NIENTE, è arrivato il momento di reagire! E’ arrivato il momento di rendersi conto che non possiamo fare e rifare sempre le stesse cose e poi chiederci come mai la nostra condizione non migliora. E’ arrivato il momento di essere consapevoli che continuando così la situazione non migliorerà. E’ arrivato il momento di comprendere che le cose cambiano e non tornano più le stesse.
E’ arrivato il momento di non curarci del passato e concentrarci sul presente. E’ arrivato il momento di rinunciare alle vecchie abitudini disfunzionali, di superare le paure e agire.